Ne avevo già sentito parlare tempo fa, ma leggendo questo articolo penso alle pallosissime lezioni di "informatica" che certi docenti fanno subire ai nostri allievi, per far loro CAPIRE come funziona un computer...Ci vorrebbero "buchi nel muro" anche qui da noi, altro che aule informatiche vecchie ed inutilizzate!
da IFG on line- Istituto Carlo De Martino per la formazione al giornalismo
<< Lezioni di informatica dal buco nel muro
Un buco nel muro, con dentro un computer connesso ad Internet e una telecamera nascosta su un albero a destra del muro. Questo è il progetto di Sugata Mitra, di professione sviluppatore di software, per far arrivare l’informatica nei villaggi più sperduti dell’India rurale.
L’India è uno dei maggiori produttori al mondo di componenti per computer. New Delhi è stata ribattezzata Silicon Valley East, ma l’alfabetizzazione informatica è tra le più basse. Per questo Sugata Mitra, docente alla Newcastle University, ha lanciato il progetto Hole in the Wall (buco nel muro). Il primo computer lo ha inserito nel muro esterno della NIIT, una società indiana leader nel settore dei software, di cui è consulente. Ha radunato un gruppo di ragazzini e li ha invitati a usare quella strana macchina illuminata. In pochi minuti avevano imparato a muovere il cursore, in un paio d’ore stavano navigando in rete. Rajinder, uno dei bambini coinvolti, è diventato subito la star del gruppo: ha scoperto un programma per disegnare e stupito tutti con le sue doti di artista, che prima non sapeva di avere. A chi gli chiede come spende il suo tempo libero risponde: “con quella cosa con cui si può fare tutto”.
Un successo, che Mitra ha pensato subito di ripetere. Il suo secondo tentativo è stato in una scuola media. Si è presentato con un computer portatile e ha chiesto all’insegnante di fisica di scegliere un argomento non trattato in classe e di scrivere cinque domande. Sorridendo, ha preso cinque ragazzi, li ha chiusi in una stanza con il laptop (un oggetto che loro non avevano mai visto) e gli ha dato due ore di tempo per rispondere. Mitra non si è per nulla sorpreso quando, a tempo scaduto, le risposte erano tutte esatte. In due ore avevano imparato come far funzionare un computer e utilizzarlo per i propri scopi. “E’ progetto adatto all’India – spiega Mitra – perché si tratta di self learning, che richiede un investimento drasticamente più basso rispetto a un corso di informatica”.
Soddisfatto dei risultati, Mitra ha iniziato a esportare Hole in the Wall in tutta l’India rurale: nelle bidonville, nei villaggi di pescatori, nelle aree dove si ammassano gli sfollati dopo la costruzione delle dighe. Rapidissimi, i bambini hanno a usare il computer da soli e a scambiarsi informazioni e scoperte. In media in una settimana padroneggiano il mondo degli mp3 scaricati, in due riescono a insegnare qualcosa a Mitra. Per facilitare l’apprendimento, infatti, Mitra aveva installato computer con un touchscreen, senza tastiera, ma un giorno ha trovato sul desktop un file intitolato “I love India”. Stupito, ha dovuto chiedere ai ragazzi come avessero fatto. Semplicemente, avevano scoperto la mappa caratteri di Word e il copia-e-incolla.
Navigando in rete, oltre a migliorare i loro risultati scolastici, i ragazzi – e le ragazze, cosa non semplice in India – hanno anche ottenuto gli applausi degli adulti. Li aiutano a vedere se due città sono collegate da un treno, se il giorno dopo pioverà. E hanno creato anche una nuova lingua, un hindi dell’informatica. Il cursore, ad esempio, è diventato sui, la parola hindi per ago e la clessidra, un oggetto per loro misterioso, è stata ribattezzata samru perché assomiglia (vagamente) al tamburo di Shiva.
Dai dati raccolti, Mitra ha calcolato che in cinque anni potrebbe insegnare a 500 milioni di bambini a utilizzare le funzioni base di un computer. Con questo sistema di apprendimento “condiviso”, senza insegnanti, basterebbero 10 milioni di computer connessi a Internet, un investimento totale di 2 miliardi di dollari. Il governo indiano, però, temporeggia, e nel frattempo Mitra si è rivolto a vari privati. Ma prima di farne i nomi aspetta che il progetto sia più concreto, anche se gli sono chiare le conseguenze: “Ci sarebbe un esplosione di siti in hindi, di pubblicità in hindi, di informazione in hindi”. Ad un certo punto, anche all’estero di studierà hindi.>>
Veronica Fernandes
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