20.7.08

Lei che può parlare di Eluana




Io non sono degna di dire neanche una parola, e come me dovrebbero sentirsi tutti coloro che non hanno vissuto e non vivono in prima o seconda persona un'esperienza simile.

Lei però può parlare, e anche io voglio che le sue parole circolino il più possibile.
Mi permetto solo di sottolineare i passi che ritengo più significativi.



Io, che posso parlare di Eluana.

Caro Direttore,

sono Marina Garaventa, ho 48 anni e sono, più o meno, nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby: come lui, ho il cervello che funziona benissimo, diversamente da lui, posso ancora usare le mani e la mimica facciale. Come ho seguito il caso Welby, esprimendo la mia opinione, ho seguito il caso, ben più grave del mio, di Eluana Englaro e mi sono «rallegrata» della sentenza che ne sanciva la conclusione, sperando che nessuno si permettesse di intromettersi in un caso così delicato e personale. Non avevo la benché minima intenzione di dire o scrivere alcunché fino all`altra mattina alle 7 quando, ascoltando i primi notiziari, ho sentito tante «cazzate» che mi sono decisa a dire la mia. Io sono abituata a esprimere opinioni, dare giudizi e consigli solo su cose che conosco bene e che ho vissuto personalmente e mi piacerebbe tanto che tutti si regolassero così, evitando di aprire la bocca per dare aria a sentenze basate su mere teorie filosofiche e moral-religiose.

Con queste parole mi riferisco, in particolare, alle recenti «sortite» di alcuni personaggi noti che, in un delirio di onnipotenza, dicono la loro, scrivono lettere patetiche e organizzano raccolte pubbliche di bottiglie d`acqua: le bottiglie, a Eluana, non servono perché sia l`acqua sia la nauseabonda pappa che la tiene in vita e che anch`io ho provato per mesi, le arriva attraverso un sondino.

Bando quindi ai simbolismi di pessimo gusto di Giuliano Ferrara, stimato giornalista, e al paternalismo di Celentano, mio cantante preferito.

In quanto al mio esimio concittadino, il Cardinal Bagnasco, sarebbe cosa buona e giusta che, prima di esprimersi su quest`argomento, avesse la bontà di spiegarci perché a Welby è stata negata la messa e, invece, il «benefattore» della Magliana, Renatino De Pedis, è sepolto in una nota chiesa romana.

A questo punto, però, siccome neppure a me piace fare della teoria, propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell`attesa di una risposta che non verrà mai.

Sono disponibile anche a mettermi a disposizione per quest`esperimento ma, devo avvisare tutti che, per loro sfortuna, io sono sicuramente meno docile di Eluana e se qualcuno, chiunque sia, venisse per insegnarmi a vivere, lo manderei, senza esitazione, «affanc...».

A sostegno di quanto detto finora, aggiungo che, nonostante io non possa più camminare, parlare, mangiare, scopare e quant`altro, amo questa schifezza di esistenza che mi è rimasta e mai ho avuto il desiderio di staccare la spina del respiratore che mi tiene in vita.

Nonostante tutte le mie limitazioni, io ho una vita intensissima: scrivo su alcuni giornali locali, tengo un blog (www.laprincipessasulpisello.splinder.com), ho un` intensa vita di relazione e, in questo periodo, sto promovendo un mio libro che narra di questa mia splendida avventura. («La vera storia della principessa sul pisello», Editore De Ferrari, Genova).

Sicuramente qualcuno penserà che voglio farmi pubblicità e, in un certo senso, è vero: io voglio, per quanto posso, dar voce a tutti quelli che sono nella mia condizione e non sanno o non possono dire la loro.

Parliamoci chiaro: i malati come me, come Welby ed Eluana, sono già morti! Sono morti il giorno in cui il loro corpo ha «deciso» di smettere di funzionare e hanno ricevuto dalla tecnologia, che io ringrazio sentitamente, l`abbuono, il regalo di un prolungamento dell`esistenza. Ma come tutti i regali, anche questo vuol essere contraccambiato con merce altrettanto preziosa: una sofferenza fisica e morale che solo una grande forza di volontà può sopportare.

Nel momento in cui il gioco non vale più la candela il paziente deve poter decidere quando e come staccare la spina. Lo Stato deve garantire la miglior vita possibile a questi malati, tramite assistenza, supporti tecnologici e contributi ma non può arrogarsi il diritto di decidere della loro vita sulla base di astratti principi etici, molto validi per chi sta col culo su un bel salotto, ma che diventano assai stucchevoli quando si sta nel piscio.


Eluana non può più decidere ma chi le è stato vicino, nella gioia e nella sofferenza, chi l`ha conosciuta e amata non può dunque decidere per lei, mentre possono farlo persone che, fino a ieri, non sapevano neppure che esistesse?

Io sono pronta a chiedere umilmente perdono se questi signori mi diranno che, nella loro vita, si son trovati in situazioni come la mia o come quella di Eluana e delle nostre famiglie ma, francamente, non credo che la mia ammenda sarà necessaria.



Concludo ringraziandola e sperando che voglia dare voce anche a me che parlo con cognizione di causa e non per fare della filosofia.

La Stampa
di Marina Garaventa
Data: 18 Luglio, 2008 - 12:00

3 commenti:

  1. Anonimo12:32 AM

    Lascia sgomento e cauta riflessione questa terribile e scioccante testimonianza di Salvatore Crisafulli sul caso di Eluana Englaro. Tratto da:

    http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=3876

    ELUANA/ Crisafulli: durante i miei due anni in stato vegetativo sentivo di avere fame e sete.

    La Sentenza di Morte emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Eluana Englaro è veramente agghiacciante, fa venire i brividi, cancellando definitivamente le nostre speranze e condannando duramente tutti i disabili gravissimi: mi chiedo cosa ne sanno i Tribunali e la Scienza Medica dello Stato Vegetativo? Di cosa si sono accertati? Esistono dei parametri e dei criteri validi per confermarne l'irreversibilità? Assolutamente no.
    Rimango scioccato dal duello che appare solamente tra il Signor Englaro e la Chiesa, e noi protagonisti direttamente coinvolti, nulla di tutto ciò.

    Staccare il sondino che porta l'alimentazione sarà una morte veramente atroce, la definirei alquanto orribile.
    La definizione di Stato Vegetativo permanente si riferisce invece a una prognosi sottoposta a gravi margini di errore. Non esistono tutt’oggi validi criteri per accertare l'irreversibilità del Coma e dello Stato Vegetativo.
    Prova schiacciante senza ombra di dubbio è la mia storia, quest'ultima confermata anche da Bob Schindler fratello di Terri Schiavo. Oggi ho quasi 43 anni, sono stato vittima di uno spaventoso incidente stradale (come Eluana Englaro Glaswos Coma scale di 3-4 grado) avvenuto a Catania l’11 settembre del 2003, riportando danni assonali diffusi che interessavano anche la ragione ponto-mesencefalica entrando in coma, successivamente trapassando lo stato vegetativo permanente. Ho vissuto nell'incubo per quasi due anni, incredibilmente nel 2005, mi risveglio e riesco a raccontare che io sentivo e capivo tutto.
    Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo. Finalmente oggi riesco a sentire il sapore del cibo perché riesco ad essere nutrito dalla bocca (fino ad oggi sono portatore di PEG).
    Io sentivo ma nessuno mi capiva. Capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero imprigionato nel mio stesso corpo, proprio come lo sono oggi.
    Provavo con tutta la mia disperazione, con il pianto, con gli occhi, ma niente, i medici troncavano ogni speranza, per loro ero un “vegetale” e i miei movimenti oculari erano solo casuali, insomma non ero cosciente.
    Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, e iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. I medici parlavano sempre di stato vegetativo permanente e irreversibile, lo ribadivano e lo scrivevano.
    Io riesco a comunicare tramite un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo.

    Oggi a distanza di quasi 5 anni vivo da paralizzato, la mia patologia è quella che si chiama sindrome assimilabile alla Loked.in “uomo incatenato”. La mia storia la raccontai anche a Piergiorgio Welby, supplicandolo “inutilmente” di lottare per la vita.
    Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita, voglio gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo.
    Questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è veramente una sentenza agghiacciante: se applicata, si inizia la nuova era dell'eutanasia con l'eliminazione di tutti i disabili gravissimi che aspettano e sperano anche nella scienza.
    Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere.
    Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio.
    Ringrazio chi, anche durante la mia “vita vegetale”, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre.
    Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità?

    La mia famiglia sfidava la scienza e la statistica dei grandi numeri svenandosi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. Urlando in Tv (Porta a porta e similari) minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato d’abbandono.
    Vi ricordate di quel piccolo neonato anencefalico di Torino, fatto nascere per dare inutilmente e anzitempo gli organi e poi morire? Vi ricordate che dalla sua fredda culla d’ospedale un giorno strinse il dito della sua mamma, mentre i medici quasi sprezzanti spacciavano quel gesto affettuoso per un riflesso meccanico da avvizzita foglia d’insalata?
    Cara Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi, né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi “esperti” di qualità di vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui.
    Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza.

    Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato.
    Signor Presidente della Repubblica, solo il suo intervento (ma con i fatti) potrà evitare ulteriori richieste di eutanasia, in alternativa ordini di chiudere tutti i reparti di rianimazione.

    (Salvatore Crisafulli)

    (Foto: Ansa)

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  2. Pubblico il commento, ringrazio Amanda per averlo postato.


    Personalmente ho chiesto a chi mi ama di non lasciarmi in un incubo simile, su di me non voglio accanimento.

    Desidero che tutto quello che si spenderebbe per mantenere artificialmente il mio corpo in vita sia speso per far vivere bambini in qualche paese del terzo-quarto mondo. Io ho avuto già 43 anni di vita bellissima, sarebbe un bel modo per donare qualcosa a chi ne ha diritto quanto o più di me.
    Chissà se il mio volere sarà rispettato...

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  3. Anonimo6:46 PM

    E' difficile fare un commento, ma è anche difficile non farlo! Questo problema mi tocca nel profondo per riflessioni ed esperienze personali ...
    Alcuni dicono che vale la pena vivere anche in condizioni estreme. Non credo che sia vero ... Potrei dire tante cose, citare tanti momenti in cui la vita ha tradito una persona a me molto vicina, ma non riuscirei ad esprimere tutto quello che sento.
    Non sono d'accordo sulla continuazione artificiale della vita al prezzo che stanno pagando Eluana e la sua famiglia.
    Non mi piacciono le generalizzazioni che vengono puntualmente riportate dalla televisione, fatte stravolgendo i fatti e spesso per desiderio di protagonismo.
    Ho letto e apprezzato il tuo post e le testimonianze che riporta. E' giusto che intervenga chi ha esperienza, chi sa e può capire che cosa significa vivere accanto ad un problema del genere.
    Spero che si arrivi ad un testamento biologico e che si rispettino di più le volontà delle persone.
    ... e mi fermo qui che è meglio.
    Laura

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